Tassa di soggiorno, il 10% dell’incasso arriva da Airbnb
9 ott 2025 | 2 min di lettura | Pubblicato da Paolo F.

Il settore degli affitti brevi e le normative che lo regolano sono in cerca di equilibrio. Da una parte, emerge con chiarezza un impatto negativo in termini immobiliari: i centri storici si svuotano dei loro abitanti perché le case diventano investimenti, incidendo sul prezzo degli appartamenti. In sostanza, diventa sempre più complicato comprare e vivere nelle zone a maggiore intensità turistica. Dall’altra parte è innegabile l’impatto economico del comparto, che consente di ampliare l’offerta ricettiva e di generare ritorni per i proprietari e per i territori.
La tassa di soggiorno
Non si tratta solo di indotto legato a ristorazione e servizi turistici. Ci sono anche gli incassi diretti dei comuni. Airbnb ha affermato di aver raccolto e versato, nel 2024, quasi 100 milioni di euro di imposta di soggiorno. Il dato è riportato nei documenti trasmessi all’Agenzia delle Entrate lo scorso giugno.
Il 2024, spiega la piattaforma, ha segnato un record per l’imposta di soggiorno, che ha portato nelle casse dei Comuni italiani oltre 1 miliardo di euro. Vuol dire quindi che circa il 10% dell’incasso complessivo arriva dagli host di Airbnb.
Tra centri e periferie
La piattaforma sottolinea come gli affitti brevi, oltre a portare risorse nelle casse dei Comuni, permettano un turismo più distribuito: nel 2024, la metà delle notti prenotate in Italia dagli italiani su Airbnb ha avuto come destinazione aree rurali, consentendo quindi ad attività e zone meno conosciute di emergere.
Un impatto positivo che va soppesato con quello negativo prodotto in altre aree. Da anni le normative cercano di trovare questo equilibrio, tra overtourism e nuove opportunità per i piccoli proprietari che puntano sugli affitti brevi per mettere a reddito un appartamento o alleggerire il peso del mutuo sulla propria casa.
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