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Rating delle banche e mutui

8 giu 2012 | 4 min di lettura | Pubblicato da

chiavi e portachiavi a forma di casa

Non c’è pace per il Vecchio Continente in balia di una tempesta finanziaria che non sembra arrestarsi. Come se non bastassero le attuali tensioni per le sorti della Grecia, ora monta definitivamente la pressione anche sulla Spagna. Fitch, l’agenzia di rating americana, ha abbassato di tre gradini il giudizio sulla capacità dello stato iberico di pagare i propri debiti portandolo a BBB con outlook negativo (una previsione di peggioramento). Praticamente poco sopra la soglia del livello spazzatura.

Un declassamento, spiega Fitch, legato ai costi necessari per ricapitalizzare le banche spagnole che, nel peggiore dei casi, potrebbero raggiungere i 100 miliardi di euro. Una montagna di soldi che la Spagna non ha e che potrà recuperare solo con l’aiuto dell’Unione Europea. Proprio come è già accaduto con Irlanda e Portogallo.

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E questo nonostante l’altro ieri, durante la riunione del Consiglio direttivo della Banca centrale europea, il presidente Mario Draghi abbia negato non solo la possibilità di una terza maxi asta per le banche europee (dopo i mille miliardi di euro distribuiti al tasso d’interesse agevolato dell’1% tra dicembre e febbraio), ma anche la probabilità di un taglio del costo del denaro attualmente al minimo dell’1%.

Come si è scritto più volte, si tratta di un circolo vizioso che rischia purtroppo l’avvitamento visto che gli occhi restano puntati sulla Grecia e sulla sua permanenza nella moneta unica. Sempre l’agenzia di rating ha detto chiaramente che un’eventuale Grexit innescherebbe il downgrade di alcuni paesi Ue tra cui l’Italia che già agli occhi degli investitori non è vista benissimo a causa della rischiosità dei titoli di Stato. Ora, è pur vero che gli ultimi tagli al rating del debito sovrano del BelPaese risalgono agli inizi dell’anno, ma da allora la condizione economica italiana non è migliorata con il pareggio di bilancio e le prospettive di crescita che continuano a pesare come macigni.

A risentire di questa pressione ed essere punite sono state anche le banche italiane. Lo scorso 14 maggio, infatti, Moody’s (un’altra agenzia di rating) ha bocciato ben 26 istituti di credito (tra cui Intesa SanPaolo, Unicredit e Monte dei Paschi di Siena) portando i loro giudizi tra i più bassi dei Paesi europei. Anche qui chiarissima la motivazione del declassamento: le banche sono vulnerabili a questa situazione e i mercati temono il peso del debito italiano rispetto alla mancanza di liquidità che sta schiacciando tutta l’Europa. Tanto che a far compagnia agli istituti di credito italiani da poche ore si sono aggiunti anche 6 gruppi bancari tedeschi e 3 austriaci, tutti declassati da Moody’s per la loro esposizione alla crisi finanziaria nei paesi dell’Europa dell’Est.

Il credit crunch continua così a mietere vittime e a condizionare negativamente l’economia reale. Questo scenario macro-economico si traduce, infatti, in una chiusura dei rubinetti del credito delle banche ai clienti, in primis ai mutuatari. Nel 2011 non solo sono diminuiti drasticamente i prestiti per acquistare casa ma anche i pochi clienti che sono riusciti a strappare un mutuo lo hanno fatto a carissimo prezzo visto che le banche hanno alzato vertiginosamente il loro guadagno (cioè lo spread) anche oltre il 2%. Una mossa che le banche, dal conto loro, dall’estate del 2011 usano per abbassare il rischio di insolvenza, il mancato pagamento delle rate. Ovviamente non si possono permettere nuovi vuoti di credito con l’altro spread tra i Btp e i Bund (vale a dire il differenziale tra i titoli di Stato a 10 anni italiani e quelli tedeschi) tornato in queste settimane pericolosamente sopra i livelli di guardia a quota 430.

Fatto sta che i mercati non si fidano. E l’Italia, nonostante abbia aumentato il rendimento per rendere le aste più allettanti, vende sempre più a fatica agli investitori privati i propri titoli di Stato. Basti pensare che nell’ultima asta il rendimento dei Btp a 10 anni è tornato sopra il 6%, mentre la Germania offre in cambio dei propri titoli a 5 anni lo 0,41%.

Così per arginare questa crisi del debito l’Ue spinge le banche ad acquistare i titoli di Stato con i più importanti istituti del BelPaese che ora si ritrovano in pancia milioni di euro di Btp e le casse vuote di contanti da distribuire a famiglie e imprese con i prestiti e i mutui che sembrano un lontano ricordo. Gli istituti, infatti, trovando difficoltà a rifinanziarsi (cioè a reperire liquidità), quando rendono accessibile il credito, pretendono un guadagno maggiore.

Non c’è da meravigliarsi se nei primi quattro mesi dell’anno la domanda dei mutui sia crollata del 46% rispetto all’anno precedente.

8 June 2012 di Patrizia De Rubertis

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