Mutui e legge Cirinnà
Le unioni civili e le convivenze di fatto sono ormai legge, e ciò porta con sé, oltre alle polemiche, importanti conseguenze anche sul piano patrimoniale delle parti coinvolte, non più lasciate a gestirsi i problemi con il solo buon senso, ma inquadrate in una serie di norme che fino ad ora hanno riguardato solo le coppie di coniugi “tradizionali”. Mutui.it, in collaborazione con Facile.it, ha deciso di affrontare la questione dal punto di vista che più interessa chi legge queste pagine, quindi quello dei mutui immobiliari, andiamo a vedere quali sono gli effetti.
Innanzitutto l’unione civile, definita come formazione sociale tra persone maggiorenni dello stesso sesso, implica automaticamente (se non diversamente richiesto) il regime della comunione dei beni; valgono quindi tutte le disposizioni valide per i coniugi tradizionali in materia, di cui al capo VI del titolo VI del primo libro del Codice Civile. Comunione dei beni che, in caso di beni immobili, può essere sciolta, con obbligo di trascrizione dell’atto, come da articolo 2653 primo comma, punto 4, del CC. Naturalmente tutti gli atti relativi agli immobili di proprietà di una coppia unita civilmente vanno trascritti, come da articolo 2659 del CC.
Anche se la materia non è ancora stata definita, è lecito pensare che a questo punto anche l’acquisto di una casa, con o senza mutuo, sarà regolato da questa casistica, e che valga in caso di unione civile anche quanto vale per i coniugi tradizionali per quanto riguarda la possibilità di detrarre gli interessi passivi del mutuo cointestato, in caso di acquisto di un immobile in comproprietà o in regime di comunione dei beni. Ciascuna delle due parti di una unione civile potrà quindi non solo detrarre la propria quota di interessi passivi (il 19% per un massimo di 4000 euro) ma detrarre il 100% in caso abbia fiscalmente a carico il proprio compagno.
Allo stesso modo, in caso di scioglimento dell’unione civile dovrebbe applicarsi quanto accade in caso di divorzio. Alle unioni civili si applica infatti il titolo III del libro I del Codice Civile in materia di alimenti. Se, quindi, la coppia unita civilmente si separa mentre è in corso il pagamento di un mutuo, la parte obbligata a pagare gli alimenti può decidere di continuare a pagare le rate chiedendone la detrazione dall’assegno versato all’ex-compagno. Può infatti accadere, come succede per le famiglie tradizionali, che in caso di separazione la casa sia assegnata solo ad uno dei due, e che l’altro continui a dover pagare le rate pur non avendo più residenza nell’immobile. Ovviamente, come suggerivamo qui sono sempre aperte le strade della vendita consensuale dell’immobile per l’estinzione del mutuo, o la rinegoziazione del mutuo stesso in modo che solo chi desidera restare proprietario sia anche il solo intestatario del contratto di finanziamento.
In caso poi di morte di uno dei due costituenti l’unione civile, si applica il regime della successione ereditaria di cui al libro secondo del Codice Civile (in particolare il titolo II sulla successione degli eredi, il capo III e capo X del titolo I sulla successione dei legittimari e il capo II del titolo IV sulla collazione, ovvero sulla restituzione delle donazioni in sede di suddivisione delle eredità). Il compagno superstite gode dello stesso diritto di successione che spetta al coniuge: dovrebbe quindi ereditare anche l’obbligo ad estinguere al posto del defunto eventuali contratti di mutuo in essere, a meno di non rifiutare l’eredità.
Diverso il caso delle convivenze di fatto, disciplinate sempre dalla legge Cirinnà. In questo caso, tutto quello che riguarda il regime patrimoniale può essere regolato da un contratto di matrimonio nel quale si specifichi il regime patrimoniale (comunione, separazione) che si intende mantenere, e il modo in cui si intende regolare ogni tipo di pendenza in caso di scioglimento del rapporto o di morte di uno dei due compagni. Dato che tra i nostri lettori non sono infrequenti domande su quale fine debba fare il mutuo in caso di separazione dal convivente, il consiglio è di approfittare della possibilità di stendere un contratto per regolare prima questo tipo di eventualità: il documento deve essere redatto con atto pubblico o privato, convalidato da un notaio. In caso di morte di uno dei due conviventi, l’altro ha diritto, secondo la legge, a viverci per almeno altri due anni e comunque non per più di cinque anni, e di succedere al compagno in caso di eventuale contratto di affitto. Diritto che si estingue con la formazione di un nuovo legame.
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