Parere Ue dà ragione all'Italia: giusta la cedolare secca su AirBnB

Criticato, però, un altro elemento

Criticato, però, un altro elemento

Pubblicato il 19 July 2022

L'Italia ha ragione: la norma che tanto aveva fatto irritare AirBnB e le altre piattaforme simili ha avuto un primo riconoscimento europeo. L'avvocato generale della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, Maciej Szpunar, ha condiviso l'impostazione della legge del 2017, che ha introdotto la cedolare secca per chi affittasse gli immobili per brevi periodi senza farne un'attività imprenditoriale, ad esempio chi acquista una casa con mutuo per poi affittarla.

Normativa “coerente”

Secondo Szpunar, “è perfettamente coerente imporre l'obbligo di ritenuta fiscale agli intermediari che intervengono nel pagamento dei canoni”. Arriva però anche una critica: l'obbligo di nominare un rappresentante fiscale viene definito “una restrizione sproporzionata alla libera prestazione dei servizi”.

Quello dell'avvocato generale è un parere, importante ma non vincolante. È una sorta di proposta di soluzione fiscale, cui la Corte di giustizia può o meno attenersi.

Le regole in Italia

In Italia, da giugno 2017, i redditi che derivano dagli affitti brevi sono soggetti a una cedolare secca, con un'aliquota del 21%. Le piattaforme come AirBnB e altri intermediari si qualificano come “sostituti d'imposta”, devono cioè essere loro a trattenere la ritenuta del 21% e versarla al Fisco.

La legge, che introduceva anche obblighi più stringenti riguardo la condivisione dei dati con le autorità, era pensata per far emergere il nero nelle attività di questo tipo.

AirBnB ha presentato un ricorso per annullare il provvedimento. Il Consiglio di Stato italiano ha chiesto così alla Corte Ue un'interpretazione, alla luce del diritto comunitario.

Il punto debole della norma

Sulla bontà della cedolare secca, l'avvocatura non ha dubbi. Ha invece criticato un altro elemento. Secondo la legge italiana, “i soggetti non residenti riconosciuti privi di stabile organizzazione in Italia sono tenuti a nominare, in qualità di responsabile d'imposta, un rappresentante fiscale”. Richiamando una sentenza del 2014 su un caso spagnolo, l'avvocato generale sostiene che l'obbligo di nominare un rappresentante fiscale sia “contrario ai trattati europei".

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Il profilo dell'autore

Paolo Fiore Giornalista professionista e leccese in trasferta: Bologna, Roma, New York, Milano. Dopo la Scuola di giornalismo Walter Tobagi, ha scritto per Affaritaliani, MF-Milano Finanza, l'Espresso, Startupitalia e Skytg24.it. Si occupa di economia e innovazione per Agi, FocuSicilia e collabora con il gruppo Rcs.

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