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Nuovo regime forfetario partite IVA

25 gen 2019 | 3 min di lettura | Pubblicato da

ragazza in piedi con pc

Il regime forfetario sostitutivo non considera le detrazioni IRPEF

Conviene aderire al nuovo regime forfetario previsto dalla manovra? È questa la domanda che quasi 400 mila tra titolari di ditte individuali, professionisti e artisti si sono dovuti fare nelle ultime settimane a seguito delle prove di flat tax stabilite dalla legge n. 145/2018. Mutui.it, in collaborazione con Facile.it ha cercato di capirlo scoprendo che i rischi, a ben guardare non sono trascurabili.

La risposta migliore da dare alla domanda con cui abbiamo cominciato, secondo quanto è emerso, sarebbe “generalmente sì, ma… dipende!”. Se è vero che i forfetari pagano meno imposte sui redditi derivanti dalla propria attività, è anche vero che aderendo alla flat tax potrebbero perdere tutte le agevolazioni normalmente concesse; addio quindi alle deduzioni per il coniuge e i familiari a carico, alle detrazioni per gli interessi sui mutui, per le spese mediche e anche per le ristrutturazioni edilizie.

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Vediamo perché. A partire dal 1° gennaio 2019, l’accesso al regime agevolato è stato esteso a tutti i contribuenti che, titolari di una partita Iva, hanno conseguito nell’anno precedente ricavi o compensi non superiori a 65.000 euro.

Questo meccanismo consente di alleggerire le tasse dovute; invece di applicare l’IRPEF ordinaria (dal 23% al 41%), viene prevista un’imposta sostitutiva del 15%, su un reddito calcolato a forfait in percentuale sul fatturato.

Nella maggior parte dei casi il regime consente risparmi d’imposta significativi. Per fare un esempio, un giovane avvocato che realizza un fatturato di 35.000 euro, a fronte di 7.000 euro di costi sostenuti, può risparmiare circa 3.200 euro all’anno.

Si potrebbe pertanto supporre che la flat tax sia sempre e comunque più conveniente del regime ordinario, ma in realtà non è così, perché nel confronto bisogna tenere conto anche di altri fattori. Per esempio l’effettiva entità dei costi sostenuti dal contribuente; qualora questi siano superiori a quelli riconosciuti in misura forfettaria dalla legge, il vecchio regime di tassazione potrebbe risultare migliore.

Il vero ago della bilancia, tuttavia, è dato dall’impossibilità per i forfetari di beneficiare delle deduzioni e delle detrazioni che l’ordinamento riconosce alle persone fisiche. Poiché il regime forfetario è sostitutivo, in assenza di altri redditi imponibili (per esempio derivanti da lavoro dipendente, prestazioni occasionali, affitto di immobili), il reddito dichiarato dal contribuente ai fini IRPEF sarà pari a zero. Dal momento che deduzioni e detrazioni agiscono solo nel “mondo IRPEF”, ciò significa perdere il beneficio.

Come abbiamo anticipato, a venire meno sarebbero per esempio le detrazioni per il coniuge, i figli e gli altri familiari fiscalmente a carico, ma anche gli sconti fiscali previsti su determinate spese sostenute dal contribuente come, solo per citarne alcune, gli interessi passivi sui mutui (detraibili al 19%), i lavori di ristrutturazione edilizia (50%) o di riqualificazione energetica degli edifici (65%). Senza dimenticare spese mediche (19%) e altro ancora.

Torniamo al caso del giovane avvocato che sta valutando il transito nel regime forfetario. Ipotizziamo che abbia acceso un mutuo nel 2017 per l’acquisto e la ristrutturazione di un immobile, con interessi passivi di 4.000 euro (massimo consentito) e importo dei lavori di 60.000 euro. La detrazione sul mutuo è pari a a 760 euro (19% di 4.000), quella sulle ristrutturazioni a 3.000 euro (50% di 60.000, diviso in 10 rate annuali).

In questo caso la flat tax consente di risparmiare 3.165 euro di imposte, ma le detrazioni perse ammontano a 3.760 euro. Pertanto, prima di stabilire con certezza come comportarsi, è necessario considerare tutte le variabili e procedere a valutazioni attente caso per caso.

25 January 2019 di Valerio Stroppa

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Commenti
V

Valerio Stroppa

30/01/2019, 18:04:43

Gentile Matteo, le confermo quanto detto dal suo commercialista. Per chi è già titolare di un reddito da lavoro dipendente o pensione e svolge un secondo lavoro a partita Iva, l’accesso al regime forfetario era consentito fino al 31 dicembre 2018 solo se la retribuzione “principale” non superava i 30.000 euro. Tuttavia, con la manovra di bilancio tale limite è stato abolito dal 1° gennaio 2019. Pertanto, rispettando gli altri requisiti (tra cui il limite di fatturato di 65.000 euro sull’attività autonoma), da quest’anno può rientrare nel forfetario, anche se il suo reddito da lavoro dipendente del 2018 è risultato superiore ai 30.000 euro.
M

Matteo

25/01/2019, 10:12:46

Buongiorno, analisi molto interessante. Sono un dipendente e faccio un secondo lavoro (non in concorrenza con la ditta) con Partita IVA. Avevo già aderito in passato al regime dei minimi, poi ho dovuto abbandonare superando il limite dei 30.000 euro. il mio commercialista dice che questo limite non c'è più e che ora posso ritornare nel forfettario. Può confermare?

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