Smart e southworking spingono all’acquisto di case più grandi
6 mag 2021 | 3 min di lettura | Pubblicato da Rosaria B.
Emerse tre tipologie diverse di domanda per il mercato immobiliare
Pubblicato il 6 May 2021
La convivenza con la pandemia, e quindi con le restrizioni che ci accompagnano da più di anno, sta trasformando le nostre abitudini di vita non solo nei luoghi pubblici, ma anche dentro casa.
La necessità di trascorrere un numero maggiore di ore all’interno della propria abitazione ha fatto sorgere nuovi desideri ed esigenze tra cui non solo quella di avere uno spazio all’aperto, come un balcone, un terrazzo o persino un giardino privato, ma anche zone adeguate per poter lavorare da remoto.
La condivisione dei locali tra genitori in smart working e figli, alle prese con la didattica a distanza, nonché la necessità di combinare il tempo libero con quello dedicato al lavoro all’interno delle mura di casa, starebbe spingendo, almeno chi può permettersi di accedere un mutuo prima casa anche elevato o chi dispone di abbondante liquidità, a cercare soluzioni più ampie.
La domanda di nuove abitazioni premia tre tipologie
A raccogliere e a sintetizzare alcune tendenze, è Gabetti Property Solutions nel report “Smart working e nuove esigenze abitative: come il lavoro impatterà su abitazione, mercato residenziale e stili di vita”.
Secondo l’indagine che ha coinvolto un campione di lavoratori, l’impatto diretto dello smart working sulle nuove tendenze in termini di mercato immobiliare è dimostrato dal fatto che quasi 9 lavoratori in smart working su 10 hanno dichiarato di avere cambiato, o avere in programma di modificare, la propria situazione abitativa.
Il 43% degli intervistati lavora tuttora in soggiorno, il 26% prevede di acquistare, o ha già acquistato, una casa più grande e ben il 21% prevede di trasferirsi al sud, da dove proviene.
Queste percentuali a loro volta potrebbero tradursi in tre tipologie diverse di domanda per il mercato immobiliare: case di dimensioni più ampie con spazi modulabili a seconda delle necessità; case che consentano di dedicare uno spazio fisso per lo smart working, dato che molte aziende potrebbero applicare questa nuova modalità di lavoro in modo permanente; e seconde case in località turistiche, anche se non necessariamente, data la possibilità lavorare a distanza tutto l’anno e la percezione diffusa di un rischio sanitario minore per chi decide di trascorrere periodi di villeggiatura in un’abitazione di proprietà.
Smart working in sala o in camera da letto
Dalla ricerca commissionata dalla rete immobiliare è emerso quanto il fenomeno smart working sia esteso: il 34% lavora in smart working a tempo pieno, il 37% è in smart working alternato all’ufficio, e solo il 20% continua a lavorare in ufficio.
Il 10% degli intervistati ha la possibilità di utilizzare la seconda casa per lavorare, mentre l’80% utilizza la dimora abituale.
Solo il 22% dispone però di una vera e propria stanza studio, mentre il 43% ha risposto di lavorare in soggiorno e il 15% in camera da letto. Il 9% ha invece dichiarato di lavorare in cucina, mentre il resto degli interpellati si sposta in modo indifferente tra i vari ambienti dell’abitazione.
Con l’affermarsi dello smart working chi cerca casa oggi tenderebbe a puntare su tagli più grandi per ovviare a questi disagi, ma cresce anche la percentuale di chi intende apportare delle modifiche interne all’abitazione: il 24% degli intervistati oggi ha effettuato o effettuerà modifiche interne alla propria abitazione, approfittando anche delle iniziative di ristrutturazione grazie agli incentivi fiscali e al Superbonus 110%.
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