South working sì, ma a casa di mamma e papà

Ecco l'analisi dell’Ufficio Studi di Tecnocasa
Pubblicato il 17 September 2020
C’è chi già teme lo svuotamento delle città del Nord per effetto di quello che è solo uno dei tanti risvolti del prolungarsi dello smartworking, ossia il “south working”. Venendo a mancare infatti l’obbligo di fornire la propria prestazione all’interno di un luogo ben definito e scelto dal datore di lavoro, tanti italiani hanno scelto di tornare alle rispettive città d’origine, spesso situate nel sud della nostra Penisola, cambiando residenza rispetto a quella del periodo preCovid19 e cercando ospitalità a casa di parenti e amici, almeno in via temporanea.
C’è anche chi ha perso il lavoro e c’è invece chi ha deciso di reinventarsi professionalmente, magari in un’altra regione, temendo gli effetti di una prolungata cassa integrazione. Per ora, tuttavia, non è ancora chiaro come questo inciderà sia sul mercato del lavoro, sia su quello immobiliare tanto più che in una parte dei casi chi si sposta per lavoro possiede già una casa nel luogo d’origine.
A confermare il fatto che sarà necessario guardare al lungo periodo per capire quanto il south working sia in grado di incidere sul prezzo al metro quadrato degli immobili è l’Ufficio Studi di Tecnocasa che ha analizzato le compravendite realizzate attraverso le agenzie affiliate nelle grandi città italiane nel primo semestre del 2020. Per ogni grande città è stata calcolata la percentuale di acquirenti già residenti in città, in arrivo dalla provincia ed in arrivo da altre regioni.
In estrema sintesi nei grandi centri la media di acquirenti in arrivo da altre province nel primo semestre appena concluso si è fermata al 7,7%, stessa quota raggiunta anche nel 2019.
Nonostante l’importante ricorso allo smart working da parte di molte grandi aziende, Milano, Verona e Roma si sono confermate come grandi poli di attrazione e per questo registrano le percentuali più alte di acquisti da parte di persone in arrivo da altre province (rispettivamente 13,2%, 12,0% e 10,6%). Tali percentuali sono persino in aumento rispetto ad un anno fa, quando ad esempio a Milano gli acquirenti in arrivo da altre province si fermavano al 10,9%.
In generale a Milano si registra l’81,7% di compravendite da parte di residenti, il 5,1% in arrivo dall’hinterland e il 13,2% in arrivo dalle diverse province dello stivale. A Verona il 69,3% delle compravendite riguarda persone già residenti in città, il 18,7% riguarda acquirenti in arrivo dall’hinterland ed il 12,0% riguarda persone in arrivo dalle altre province italiane. Per quanto riguarda Roma si registra un 85% di compravendite effettuate da persone già residenti in città, un 4,3% di transazioni concluse da acquirenti in arrivo dalla provincia della capitale stessa ed un 10,6% di compravendite effettuate da persone in arrivo da altre zone. Seguono le altre grandi città che hanno una più bassa percentuale di transazioni immobiliari concluse da persone in arrivo da altre province: Torino 8%, Firenze 7,7%, Bari 7,5%, Genova 5,8%, Bologna 5,1%, Napoli 4,3 e Palermo 2,8%.
Spesso però chi arriva da un’altra provincia non è un lavoratore, bensì un investitore: a Milano, ad esempio, il 32% degli acquirenti provenienti da altre città compra per investimento, nella speranza di ricavarne un reddito da locazione, pur magari facendo ricorso in un primo momento ad un mutuo.
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Il profilo dell'autore

Rosaria Barrile Rosaria Barrile, giornalista professionista nata a Milano e laureata in Scienze Politiche, ha iniziato nel 2004 ad occuparsi di prodotti e servizi bancari e assicurativi per conto di un periodico specializzato e da allora non ha mai smesso.
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